Era una magnifica, grigia, e cupa mattina di Ottobre. La pioggia cadeva leggera sulle foglie gialle e sui rami secchi delle piante in giardino. L'odore della terra bagnata era ovunque, e anche da la sopra lei riusciva a riempirsene i polmoni. Erano poche le cose che la rilassavano come le visite agli zii in paese. Anche quest'anno, come da 24 anni a questa parte, l'ultima settimana di Ottobre era dedicata all'incontro con i parenti. Tanti amici non capivano cosa ci potesse trovare di così bello in questa sfacchinata: 3 ore in macchina, un viaggio tutte curve, per raggiungere uno dei paesi più sperduti della regione. Ma sapete il viaggio non era l'unica nota comunemente negativa. Aggiungete l'assenza di televisione, telefono, internet, scarsissima ricezione dei cellulari, pochissimi giovani e una quantità di vecchi rimbambiti che sanno tutto della tua vita pur non avendoli mai visti. In paese era un idolo per gli anziani. Sua madre non aveva mai smesso di tenersi in contatto con i parenti di suo padre, e sua zia non aveva mai smesso di raccontare a tutti quanti di quanto fosse in gamba questa nipote cittadina. Conosceva pochissime persone che parlavano così tanto, neppure una delle sue amiche, nota a tutti come una tra le ragazze più logorroiche della città, era capace di battere quella parlantina fulminea. Sembrava quasi non prendesse mai il respiro. Era buffa e dolcissima, la tipica donnina che ha lavorato tutta la vita e non conosce la stanchezza. Bassa con la schiena un po curva, vestita sempre con una larga gonna pesante ed un maglione fatto a mano, la faccia tonda e un po lucida, circondata da una peluria leggera, comune a tutte le donne di una certa età che non si son mai curate troppo del loro aspetto, che culminava con dei veri e propri baffi che da anni avevano ormai preso alloggio sotto il suo naso.
Ad equilibrare le energie dell'anziana zia ci pensava però lo zio. Alto, magrissimo, viso tirato, folti capelli bianchissimi tirati sempre all'indietro, un enorme naso arcuato al centro del viso, un paio di sopracciglia che potevan sembrare degli spazzolini da denti, e infine due esilaranti mazzi di peli che spuntavano dalle orecchie. Camicia bianca e pantalone in cotone grigio erano la sua uniforme. Col caldo e con la neve, col vento e con la pioggia, lui restava sempre vestito così, al massimo poteva aggiungere un pesante cappotto quando proprio le temperature diventavano artiche. Era tanto sordo quanto rimbambito. Non ricordava di aver mai sentito una discorso razionale fatto da lui, sempre storie fantastiche e assolutamente irreali, degne di uno stereotipo vivente qual'era lo zio. Ogni volta che ci pensava era sicura che egli stesso sarebbe potuto benissimo essere un personaggio di una storia che cominciava con un "C'era una volta".
Si, il pensiero di passare alcuni giorni con questi simpatici vecchietti la inebriava davvero, e stavolta c'era qualcosa che l'aveva galvanizzata ancora di più: stavolta avrebbe guidato lei per tutto il viaggio. Finalmente questo suo sogno si avverava. Sin da piccola, quando ancora era suo padre a portarli in paese, si era sempre chiesta quando sarebbe arrivato il giorno in cui poter intraprendere quel viaggio da sola. Aveva la patente ormai da anni, ma mai la madre le aveva dato l'autorizzazione per percorrere tutta quella strada in macchina. Gli anni però passano per tutti, così quest'anno le chiese se potevan andare con la sua macchina e se poteva guidare lei, non si sentiva troppo bene e non era sicura di poter affrontare quel viaggio al volante. Questa proposta sarebbe bastata per rendere Erica felicissima, ma la madre fece qualcosa in più: le promise che se avesse guidato in maniera responsabile, d'ora in poi avrebbe avuto l'autorizzazione per andare in paese in qualsiasi momento avesse voluto. Non poteva crederci, quel suo piccolo sogno personale si stava finalmente realizzando.
L'orario di partenza era previsto per le tre del pomeriggio, ma a metà mattina la macchina era già a pieno carico. Controllarono più volte di aver preso tutto il necessario per il viaggio, e più volte rilessero la lista degli oggetti superflui che sua madre le aveva chiesto di caricare. C'era tutto non mancava nulla. Ancora una volta diede una controllata alle gomme, e poi alle luci, fece qualche prova di frenata, tutto perfetto. La macchina era stata revisionata un mese prima, e 2 giorni prima le aveva anche fatto cambiare l'olio. Era pienamente soddisfatta dei suoi preparativi. La pioggia, che cadeva ininterrotta dalla mattina, non la preoccupava affatto.
Fecero un pranzo veloce, abbastanza leggero, tanto già sapevano che la cena di stanotte sarebbe stata degna di uno zar di Russia. Con lei al volante, la mamma al suo fianco, e il fratello seduto dietro, la sua personalissima carrozza percorse i primi dei tanti metri, che la attendevano in questo lunghissimo viaggio. E si trattò davvero di metri. Un enorme fumata bianca uscì dal motore proprio poco prima che lei arrivasse alla fine della sua via. Questa prima fumata fu seguita immediatamente da un'invasione di vapore acqueo che dal motore, passando per i bocchettoni dell'aria condizionata, riempirono totalmente l'abitacolo del veicolo.
Saltarono subito fuori dalla macchina. Già sapeva quel che sarebbe successo, e il grido isterico arrivò ancor prima che lei finisse il pensiero.
Sua madre era la persona più pacata della terra, sempre che qualcosa non le facesse saltare i suoi precisissimi piani. Anche stavolta non si fermò minimamente a pensare cosa fosse successo, non diede il tempo ai neuroni e alle sinapsi di mettersi in collegamento così da permetterle di ragionare su quel che stava per dire. Un'eruzione esplosiva di frasi invettive scaturirono dalla sua bocca, nessuna delle quali avesse la possibilità di porre rimedio alla situazione, ma tutte con l'unico scopo di appiattire l'animo della figlia. Pensò che se avesse paragonato l'animo umano ad un qualsiasi arcipelago oceanico, lo scatto della madre avrebbe provocato lo stesso danno del vulcano Krakatoa, l'avrebbe polverizzato. La forza di questo sfogo non stava tanto nella potenza sonora di quelle urla quanto nella sottigliezza delle cattiverie che portavano dentro. Sapeva esattamente come colpire i punti nevralgici dello spirito di coloro che aveva davanti, e riusciva quasi sempre ad atterrire chiunque, anche il carattere più caparbio.
Subì sotto la pioggia tutto il roboante discorso, venne colpita da ognuna delle frecce scagliate dalle corde vocali della madre ancora sotto la pioggia, e sostenne tutto il peso della rabbia che veniva gettata contro di lei sempre avvolta dalla leggera pioggia che le bagnava i vestiti. Guardò il fratello. Una faccia plumbea, cupa, quasi fosse stato lui il bersaglio dell'attacco, ed invece era stato risparmiato dalla carica di bufali che in quel quarto d'ora infinito aveva calpestato e devastato la strada che dalla bocca della madre portava direttamente ai loro timpani. Sorrise, chiese alla madre se aveva finito, e se finalmente poteva dare uno sguardo al motore visto che probabilmente il cofano si era finalmente raffreddato con tutta quell'acqua.
La schiettezza della risposta fu così inaspettata che quasi stordì la madre, che si zittì di colpo. Il silenzio improvviso era la perfetta colonna sonora per quel momento. Si avvicinò al motore e diede uno sguardo. Aperto il cofano gettò l'occhio qua e la, ma oltre alla striscia d'acqua che stava in strada non capì assolutamente nulla di quel che poteva esser successo. Certo studiava ingegneria, ma era comunque una ragazza e i motori non erano il suo forte. Fece la sola cosa che poteva fare. Rabboccò il livello dell'acqua, accese il motore, e con i finestrini totalmente abbassati e la testa di fuori si recò dal più vicino meccanico. Il fratello quasi ripresosi dallo shock, la guardò andar via. Poi guardò la madre. Era ancora stordita dai gesti della figlia. La pioggia continuava a cadere leggera.
Si allontanò da li, compiaciuta delle sue azioni. Non aveva intenzione di permettere ad un brutto difetto caratteriale di sua madre di rovinarle il sogno, così come aveva deciso che i suoi difetti non avrebbero più preso il sopravvento nelle sue azioni. Era lei a guidare, e lei avrebbe ottenuto quel che voleva, non poteva permettersi inutili sbandate.
Passò circa un'ora. Il suono del clacson si sentì fino al salotto. Madre e figlio uscirono di casa. Il sorriso a 32 denti spiccava nell'immagine scura della macchina. Con un ampio gesto della mano la ragazza li invitava a saltare sull'auto; decisero di approfittare di tutto questo entusiasmo. Salirono rapidi sul fuoristrada cercando di bagnarsi il mano possibile. Il ritmico "Boogie" di Paolo Conte li abbracciò e rilassò. Guardò la madre, sorrise ancora, e ripartì verso il suo piccolo sogno.
Riprese a pensare che imparava ogni giorno a tenere sempre più salde le mani su quel volante...
...continua...
...Sacra & Pura Follia!!!