lunedì 9 giugno 2008

Soffiava

Molly aprì gli occhi. Soffiava un vento strano fuori dalla finestra. La fitta lancinante nell'utero l'aveva svegliata di soprassalto. Era sdraiata per terra, mezzo nuda, con in mano un foglio tagliuzzato. Voltò la testa di fianco e vide un tagliacarte posato vicino al suo viso. Si alzò in piedi ancora stordita dalla notte precedente. Perchè quello stato confusionale era sicuramente una conseguenza della notte trascorsa al... Si guardò allo specchio. Era completamente sconvolta. Posò una mano sulla superficie fredda e liscia, cercò ti accarezzarsi il viso. Si osservò. All'improvviso cadde in avanti; le gambe persero quella poca forza che le restava e il suo volto volò dritto contro lo specchio, fracassandolo. Nuovamente distesa sul pavimento sentì il sangue uscirle dalla fronte. Si trascinò malamente fino al bagno alla ricerca di acqua ossigenata. Trovò il flacone, ma aveva così poche forze che lo rovesciò; litri di disinfettante fluirono attraverso le strisce perpendicolari delineate dalla trama del pavimento. Era sconvolta. Si appoggiò al lavabo e si guardò ancora allo specchio. "Dove hai dormito stanotte?" chiese alla ragazza che non riconosceva ma stava davanti a lei. Le labbra di Molly erano violacee, di un colore innaturale e malsano. Ancora una volta si sentì debole. Ancora una fitta, stavolta accompagnata da una forte nausea e una gran voglia di rimettere tutto ciò che aveva in corpo. Si poggiò su un piano vicino a lei, poi cercò il water. In ginocchio senza più le forze per rialzarsi cominciò a vomitare. Più di una volta la testa quasi le cascò dentro l'acqua. Posò la mano sul mobile che stava alla sua destra alla ricerca di qualcosa per pulirsi il viso. Non trovò nulla di più adatto dell'ultima rivista comprata da suo padre. La faccia di Mr Baffo, uno di quei fenomeni da baraccone che ogni anno tentano di accrescere la loro popolarità con il guinnes dei primati, la guardava beffardo. Lo gettò nel water sperando che affogasse in mezzo a quel minestrone di sangue e vomito. Perchè era ridotta così. Puzzava come un adolescente, uno di quei ribelli che non ha capito nulla della vita e credono che la trasgressione sia insita nell'autodistruzione, o come un enorme formaggio lasciato a marcire. In quel momento si disprezzava. Sarebbe dovuta andare a scuola quella mattina, ma fortunatamente i suoi erano fuori. Cercò di riprendersi. Prese fiato e riportò quella sua carcassa umana nella sua stanza. Si distese sul letto senza curarsi del sangue che ancora le fluiva sulla fronte. Seppur aveva rimesso poco prima tutti i pasti del giorno precedente in quel momento sentiva la voglia di divorare qualsiasi cosa. Il sapore acre in bocca allontanò rapido il pensiero. Iniziò a rovistare tra i ricordi. Ricordava la telefonata del suo amico. L'aveva invitata ad una festa. Lei non voleva partecipare, ma lui doveva parlarle assolutamente. Doveva raccontarle qualcosa a proposito di una ragazza, diceva fosse una cosa urgente, e così l'aveva convinta. "Vieni come sei" le aveva detto; "Siamo tra di noi, i soliti amici, niente formalità". Guardò il suo pupazzo, Polly il pappagallo, e pian piano cominciò a ricordare, e con il ricordo giunsero le lacrime. Il pensiero le trafisse il cervello. Una ferita senza fine e senza nome si stava aprendo nella sua mente, come un aneurisma che ti perfora le tempie. Qualcosa che non avrebbe mai pensato di dover affrontare era ormai emerso dal fondo dei suoi ricordi. Lui era venuto a prenderla. Sorrideva. La portò in un locale che stava sotto un vecchio palazzone abbandonato, che spesso utilizzavano per organizzare rave e feste. La sala era stata allestita con una sorta di piano bar, dietro alla quale centinaia di bottiglie dominavano la parete. Altro che i soliti amici, la sala era piena di sconosciuti. Non ebbe però il tempo di pensarci troppo che già i primi bicchieri le venivano messi in mano. Piangeva al ricordo; piangeva e si dimenava. Si contorceva, portando le sue mani tra le gambe, quasi a proteggere qualcosa ormai perduto. Perso il conto dei bicchieri anche la sua testa diventava man mano più leggera, perdendosi nell'aria come il dirigibile Zeppelin lanciato nel suo primo volo. Beveva, e beveva ancora, senza ormai rendersi conto di aver perso qualcosa sulla via della razionalità. Parlava con tutti, forse parlava troppo, tanto che non fu difficile per nessuno capire che ormai non aveva più un briciolo di coscienza. Così lui la prese, e la portò alla macchina. "Tranquilli ci penso io a lei". Salirono sull'auto, e lui cominciò una folle corsa. Ma non andava verso casa. Questo lei lo capì, non sa come, ma aveva capito che non era la strada per casa sua. La campagna, lontana dagli occhi, lontana dai suoni della città, ecco la sua meta. Capiva, ma non reagì. Non poteva, i suoi sensi, incatenati dall'alchol, non erano capaci di opporsi. E quando la macchina si fermò non potè fare nulla. Un sospiro, poi le mani di lui le afferrano e strapparono il vestito. Stai lontano da me, gli avrebbe voluto urlare. Ma non ci riusciva. Gli artigli sudati si fecero sempre più aggressivi e violenti. Come aculei si piantavano sulla sua carne. Era incapace di opporre qualsiasi resistenza, eppure lui continua va a picchiarla. Riuscì a parlare, riuscì a pronunciare la frase più stupida che la sua bocca avrebbe mai potuto emettere "Ti prego, smettila di picchiarmi! Violentami! Ma non picchiarmi". E lui non perse un attimo di tempo. Come un'autentica scimmia sfogò tutti i suoi desideri più oscuri e repressi su di lei. Piangeva, e un conato di vomito le attraversò la gola. Fu solo il primo di una lunga serie. Il pensiero la stava uccidendo. Una macchia gigantesca si stava formando nella sua mente, una macchia indissolubile. Dopo un grande shock spesso si comincia a sragionare, e lei non perse un attimo di tempo. "Stupida, la colpa è tua". Come poteva essere stata tanto stupida. Se non avesse bevuto. Se non fosse andata alla festa. Se non si fosse ubriacata non sarebbe successo. Si sentiva cadere sempre più in basso. Che imbecille che era stata. Un milione di se, ma, forse, e dopotutto attraversarono le sue autostrade sinaptiche. Un altro conato, e un altro ancora. Pensieri illogici e sconnessi costruivano enormi castelli di carte nere nel suo cervello. Tutte scuse. Tutte scuse per giustificare la mostruosità di un comportamento. Tutte scuse per non doverlo accusare, in fondo era un suo amico. Tutte scuse per non correre il rischio di essere considerata debole. Vomitò ancora, e ancora si contorse. Pianse, riprese le forze e si alzò dal letto. Spaccò mezza camera. Pianse ancora, e ancora vomitò, e nuovamente spaccò. Gridò. Piangere, spaccare, gridare, vomitare. Tutto per scacciare un pensiero ormai indissolubile come una macchia di sangue su un vestito bianco. Certe cose non ci cancellano. Ci son volte in cui basta più una tazza calda di the Pennyroyal per scacciare il dispiacere. Ma Molly non lo capì. Non lo capì mai. Neanche il 5 aprile, quando si sparò un colpo in viso, aveva capito.


...Sacra & Pura Follia!!!