martedì 23 giugno 2009

Vuoto...

E dopo tanti mesi giunge il momento... tirare giu quello zaino e quella scatola, oggetti quasi dimenticati ma sempre presenti. Mai nascosti per non correre il rischio di dimenticare che nulla dura per sempre, tutto arriva presto tardi al suo finale; il libro più bello, un film appassionante, un giro in bicicletta, tutto arriva presto o tardi ad una sua conclusione, anche il moto dei pianeti.
Adesso bisogna riempirli, scegliere cosa può iniziare il suo viaggio, e cosa dovrà attendere ancora... dovrò pensare...


...Sacra & Pura Follia!!!

martedì 9 giugno 2009

Hiding


...Sacra & Pura Follia!!!

giovedì 21 maggio 2009

Giochi d'acqua


...Sacra & Pura Follia!!!

lunedì 11 maggio 2009

lunedì 27 aprile 2009

B.A.T.

Qualche tempo fa mi hanno proposto un gioco...
Mi han passato una canzone (
Animals - Cocorosie) , mi han detto di ascoltarla, magari di chiudere gli occhi, e pensare a che immagini richiamava nella mia testa. Poi mi han detto di cercare di fotografare qualcosa di simile...
Un primo passo per aprire la mia finestra verso il mondo della fotografia.
Ci ho provato, e questo è il risultato...






...Sacra & Pura Follia!!!

lunedì 20 aprile 2009

L'uomo di Erba

C'era un uomo che viveva a Chicago e gli cresceva l'erba sulla faccia. Egli era infelice. "Sono infelice". C'era poi l'uomo solo. L'uomo che non aveva paura di nulla a parte della sua stessa vita. Viveva la sua vita senza fobia alcuna, con la sola paura di non saper resistere alle sue emozioni. Questo temeva, la distruzione di ciò che aveva costruito, la caduta del'unico io a cui poteva aggrapparsi. Pensava che la sua vita non gli avrebbe riservato nessuna sorpresa. Credeva in una linea del destino già segnata, in cui puoi tentare mille scorciatoie ma che si rivelano essere sempre la stessa strada. Era sicuro che alla sua vita non sarebbe sopravvissuto, che il suo posto nel dimenticatoio universale gli fosse già stato assegnato. E neppure li avrebbe avuto un grande numero, forse un 1028 o un altra cifra così, senza peso ne significato. La sua stessa paura di vivere lo rendeva immune a tutte le altre. Quando si teme, lo si fa per la propria incolumità. E lui alla sua vita sembrava non tenerci proprio. Le ansie e il desiderio di immortalità sembravano non fare per lui. Avrebbe lasciato tracce effimere, che pochi avrebbero notato, ma che tutti avrebbero dimenticato rapidamente. Questo era l'uomo solo. La sua prima famiglia si allontanava ogni giorno di più. Ogni mattina era più distante. Ad ogni risveglio sapeva che in quell'ambiente lui non era fondamentale, anzi totalmente superfluo. La sua assenza o presenza non creava equilibri e non generava scompensi. Era un dato di fatto senza peso alcuno. Questo era l'uomo solo. E una famiglia sua non l'avrebbe mai avuta. No signori. Quello era un sogno, effimero e labile come tutti i sogni. Volubile ed emozionale, non poteva crederci realmente. Ed in quel mare senza paure che era la sua vita, il mare stesso era il suo incubo. L'uomo solo non ha paura perchè si prepara al peggio. Non si aspetta mai che le cose vadano meglio, ma attende il cupo destino ancora una volta ne segni il cammino. A volte gioca con lui. Gli lancia un tozzo di felicità. L'uomo solo lo accoglie con sospetto, non si illude ma lo consuma fino in fondo sapendo già che la sorpresa della disperazione lo attende sul fondo. L'uomo solo era preparato a questo. Sapeva che per evitare il delirio che una vita fatta di speranze gli avrebbe potuto riservare aveva una sola scelta da fare. Avrebbe accettato tutto quel che gli fosse capitato, illudendosi di poter sperare in qualcosa di meglio, ma conscio della falsità di questa speranza. E avrebbe atteso il passare del tempo. Avrebbe osservato le vite altrui mettere radici, crescere e fruttare. Avrebbe visto come dalle altre vite ne sarebbero nate altre. Ma da lui no. Non temeva nulla, solo la sua vita. Temeva che quell'albero morente gli cascasse addosso per schiacciarlo. Così viveva. Forse per questo attendeva che il sorriso splendente della morte strappasse via le radici di quel vecchio scheletro.

...Sacra & Pura Follia!!!

martedì 7 aprile 2009

Iolanda

E' bello vivere una vita invasa da donne magnifiche...

Oggi vi presento una di queste: Iolanda...

Ecco le sue creazioni:



...Sacra & Pura Follia!!!

domenica 29 marzo 2009

Libri volanti


...Sacra & Pura Follia!!!

mercoledì 11 marzo 2009

Oggi non si può dormire

Provo a dormire ma non riesco, ascolto musica... 

CONSIGLIATA: 
Obscured - Smashing Pumpkins


...Sacra & Pura Follia!!!
Ci sono cose a cui non si può resistere
La voglia di esprimersi è una di queste
Datemi una matita
Datemi un foglio
Datemi una tastiera
Datemi un paio di bacchette
Datemi una cucina e qualche ingrediente
Insomma, datemi qualcosa da trasformare e vi dirò chi sono

...Sacra & Pura Follia!!!

Vecchio incipit dimenticato...

Erano le 7.oo del mattino. La sveglia suonò puntuale, precisa come solo l'alternarsi del giorno e della notte sanno essere. Aprì gli occhi. Pur con la serranda sollevata, la sua camera era immersa nel buio. Vide un cielo coperto, scuro, con nubi così fitte che il sole non riusciva a conquistare il suo spazio. Decise di alzarsi. Restare a letto non gli avrebbe portato nessun giovamento.

Una rapida tappa in bagno, poi in cucina. La giornata si prospettava lunga e faticosa, e una buona colazione sarebbe stata sicuramente d'aiuto. Pane, burro, marmellata, una tazza di latte caldo e un cornetto ripieno di crema. Mangiò tutto con calma, gustando e assaporando ogni boccone, e ogni sorsata. Si sentiva sereno, molto più sereno che la notte precedente. Era andato a dormire tardi, dopo un film mediocre, e con il pensiero della prova che l'avrebbe atteso il giorno successivo. Ma ora era tutto passato. Potersi godere quella calma, disturbata solo dal ronzio del vecchio frigorifero, lo stava rinvigorendo. Gli sembrò che quella colazione fosse infinita. In effetti durava da un po. Gettò un'occhiata all'orologio.

La calma sparì con la stessa rapidità con cui un fulmine compare e poi scompare. Aveva perso più di un'ora seduto al tavolo. Corse in camera sua. Aprì l'armadio: pantaloni, maglietta, camicia e giaccone li trovò immediatamente. Il problema fu trovare un paio di calze pulite. Non c'erano. Quelle di due giorni prima sarebbero andate benissimo, dopotutto avevano preso abbastanza aria stando in cima alla roba sporca. Infilò gli scarponi. Ricontrollò rapidamente che nello zaino ci fosse tutto. Era perfetto. Sciarpa, guanti ed ora fuori di casa rapidamente.

Camminava rapido, ma ancor più veloci erano i suoi pensieri. Idee strampalate e connessioni impensabili ai più stavano ballando un valzer viennese tra le sinapsi del suo cervello. Sin da piccolo era sempre stato una persona abbastanza particolare. Per qualche strano motivo riusciva in imprese che agli altri erano sempre risultate impossibili. A lui bastava davvero poco. Un foglio su cui scrivere, qualche numero messo in croce, alcuni minuti per esternarle, ed ecco che con le sue formule magiche riusciva in tutto. 

Prese il suo taccuino. La copertina in pelle nera era lucida, perfettamente pulita, sembrava che mai mani d'uomo l'avessero sfiorata. Le pagine erano invece giallognole, graffiate da superficiali solchi, da un alternarsi di tratti fini e grossi, segnate da una calligrafia che nascondeva capacità straordinarie. Cominciò a scrivere. La punta dorata della stilografica volava su quelle pagine. La prima pagina era completa, ed ecco apparire...

(Continuerà... forse)

...Sacra & Pura Follia!!!

lunedì 9 marzo 2009

Sul che

Ricordo che mi piacevano i sorrisi della gente.
Ricordo che amavo passeggiare la notte per strade appena illuminate.
Ricordo che amavo leggere i pensieri degli altri,
e ricordo che mi piaceva scrivere i miei.

Ricordo che avevo imparato a sorridere.
Ricordo che seppur camminassi tanto mi stancavo ben poco.
Ricordo che quasi mai avevo avuto paura,
e ricordo che temevo solo i sogni e la solitudine.

Ricordo che con un sorriso potevo ottenere tutto.
Ricordo che andando in giro per la città incontravo tante facce.
Ricordo che la musica accompagnava ogni mio passo,
e ricordo che ogni nota scacciava via un incubo.

Ricordo che ad un check-in mi dissero: "Passi, il suo è un sorriso buono".
Ricordo che camminando ogni peso sembrava alleggerirsi.
Ricordo che un giorno si innamorò dei miei occhi,
e ricordo che già da tempo io già amavo i suoi.

Ricordo che quell'uomo non mi sorrise.
Ricordo che quel giorno camminavo solo per un viale luminoso
Ricordo che stavo andando da lei,
e ricordo che era il solo pensiero nella mia mente.

Ricordo che non mi diede il tempo di sorridergli.
Ricordo che che aveva una pistola con se e non mi disse nulla.
Ricordo che ancora una volta pensai a lei,
e da allora non ricordo più nulla.

Chissà se lei si ricorda ancora di me.

...Sacra & Pura Follia!!!

venerdì 6 marzo 2009

Sul balcone



Balcone

...Sacra & Pura Follia!!!

mercoledì 25 febbraio 2009

C'era una volta - Cap.IX

A parte i primi giorni di pioggia, mai pesante ma sempre continua, il sole aveva fatto da contorno a tutta quella settimana in paese. Che giornate fantastiche, sempre uguali negli anni, ma ogni anno più belle. In un paese così piccolo non poteva sperare di incontrare nuove facce, le conosceva già tutte. Capitava purtroppo, e ogni anno con maggiore frequenza, che qualcuna di quelle facce andasse via. Chi fuggiva perchè troppo giovane per sognare una vita intera nel minuscolo centro abitato, e chi se ne andava, perchè ormai troppo vecchio, avendo terminato i propri passi sul sentiero dell'esistenza. Si chiedeva quanto tempo ci sarebbe voluto prima che tutte le case potessero rimanere prive dei propri inquilini. Seppure con un velo di tristezza, andare a zonzo per il paese la rendeva però sempre felice.
L'odore di antichità, l'aria secca e pulita, i vicoli stretti, i ciottolati, producevano fantasie che difficilmente potevano nascere in altri luoghi. In città tutto era serio, rigido, calcolato, e poco spazio lasciava all'immaginazione. Ma qua era diverso. Era facile immaginare le janas volare per le strade in cerca di compratori per i loro magici abiti. Non sembrava impossibile che uno strano esserino con sette cappelli potesse attirare i meno astuti al confine del paese. Poteva facilmente sentire gli zoccoli de su erkittu che si lancia in una folle cavalcata, pronto per portarsi via un'anima malandrina. Storie, racconti, favole, tutte fantasie che qui potevano vivere senza la minaccia del Signor Dubbio. Qui erano nate, e di bocca in bocca avevan percorso tutti i territori circostanti. A volte cambiavano i nomi, alcuni particolari si perdevano, o si adeguavano ai diversi centri, ma il significato restava lo stesso. E poi arrivarono le città. E qui la fantasia si perde. Sedotta da mercanti e affaristi la mente dell'uomo si dedica agli affari, dimenticando troppo facilmente spirito e spiriti. Sospirò. Fortunatamente conosceva ancora tante persone che non volevano mettere da parte le vecchie storie, pronte a raccontarle ancora, a portare avanti quella tradizione che pian piano si andava perdendo.
Il vento era forte. Seduta sul muretto a secco, immersa nei propri pensieri, non si era resa conto della stranezza di quel vento. In paese il vento non soffiava mai. Le montagne che lo circondavano solitamente lo proteggevano, formavano una sorta di cortina invalicabile. Eppure quella sera soffiava. Ma se li soffiava così forte chissà in che situazione si trovano i paesi oltre le montagne, e ancor peggio la pianura vicino alla costa. Foglie e polvere si sollevavano. Vide delle pigne, strappate agli alberi natii, rotolare rapide lungo la strada. Sempre più veloci, lanciate verso il punto più in basso della strada, volavano giu per il curvone; volavano giu in quella scarpata in cui tanti anni prima suo padre era volato giu con la bicicletta, venendone fuori totalmente illeso. Questo, perlomeno, era ciò che le avevano raccontato. Un'altra di quelle storie di paese, ricca di particolari precisi e intriganti, tanto diversa dalla descrizione di un incidente cittadino che potevi leggere sui quotidiani.
Scese dal muro. Iniziava a farsi tardi. L'ora di cena si stava avvicinando, ed Erica non voleva assolutamente che la zia si arrabbiasse con lei. Era una donnina tanto buona e vitale. A discapito della sua età era ancora al pieno delle proprie forze; forza che non osava nascondere, e che arrivava ad esplodere in determinate occasioni. I ritardi all'ora di cena erano una di queste. Ogni volta che arrivavano a casa sua, dopo averli baciati e abbracciati, tirava le orecchie a lei e al fratello e ricordava a entrambi che si cenava alle otto e trenta in punto, non un minuto più tardi. Nel caso durante la giornata avessero dimenticato questo avvertimento, ci pensava sempre lo zio a ricordaglielo. Ogni giorno usciva di casa inotrno alle sette, e seppur la moglie per l'ennesima volta, così come aveva fatto per 50 anni di matrimonio, gli aveva ripetuto che la cena sarebbe stata pronta alle otto e trenta, lui rientrava con un ritardo variabile, tra i cinque e i venti minuti. Quello era un momento imperdibile della vacanza in paese. Appena lo zio metteva piede in casa lei scattava giu dalla sedia a dondolo, su cui passava i minuti di attesa sbuffando e boffonchiando, e correva verso il parapetto dell scale. Arrivata qui si sporgeva e cominciava a gridare. Una potenza vocale degna di una cantante lirica, arrivava dal profondo ed esplodeva lungo la tromba delle scale rimbombando, inseguita dal forte eco che la vecchia casa produceva. Le urla duravano alcuni minuti, cioè tutto il tempo che il povero zio impiegava per percorrere le 6 rampe di scale. Era uno spettacolo davvero imperdibile, non solo per la dimostrazione delle possibili energie che possono esser nascoste dentro una vecchina baffuta, ma soprattutto per il suo effetto collaterale.
Immaginate un vecchio quasi ottantenne che percorre le sei rampe di scale di una vecchia casa, in cui il concetto di pianerottolo per il riposo non era mai arrivato, senza l'aiuto di un bastone o di un corrimano. Mentre i primi gradini venivano superati con agilità, la seconda parte della salita si tramutava in uno sforzo immane per l'anziano zio, diventando assolutamente insormontabile a metà dell'ultima rampa. A questo punto iniziava il vero spettacolo. Quando ormai era chiaro che quelle vecchie gambe non avevano più la forza per affrontare da sole quella prova, altre due gambette, corte, tozze e piuttosto grassocce, correvano in loro aiuto. Nel momento in cui lo zio dimostrava di non avere più le energie per affrontare la salita, le urla terminavano, e la zia si lanciava in suo soccorso. Tutto l'amora coltivato in decenni di matrimonio mostrava ancora una volta la sua vitalità, il suo fuoco non ancora spento. In un abbraccio tenerissimo percorrevano quegli ultimi gradini, con forse più affetto di quello che avevano provato discendendo la gradinata della chiesa nel giorno del loro matrimonio. Nessuno li poteva aiutare, chiunque si fosse proposto veniva fulminato dallo sguardo di lei. Era una scena bellissima, un'immagine favolosa, talmente suggestiva e semplice che il più grande dei registi avrebbe pagato oro per poterla riprodurre. Il più grande degli effetti collaterali, che avrebbe reso davvero prodigioso qualsiasi medicinale.
Passavano i minuti, e con essi i pensieri le attraversavano la mente, accompagnandola nel tragitto verso casa. Invidiava gli zii, e sognava un giorno di poter vivere gli stessi momenti. Attimi e situazioni che a volte le sembravano sempre più lontani. Faceva sempre meno progetti. Ogni giorno che passava cercava di vivere la propria vita nella più assoluta semplicità, senza particolari speranze. Prendeva le proprie decisioni passo passo, sicura delle proprie scelte, e senza lanciarsi in situazioni poco sicure. Viveva stati d'animo di assoluta serenità, a volte esageratamente sereni, quasi apatici. Ma anche questo era solo un momento, uno dei tanti che si era vista passare davanti. Rifletteva così profondamente che non si rese conto della panchina che si trovava sul suo cammino. Ci sbattè contro. Dopo un primo attimo di smarrimento una folata di vento le gettò in faccia una nube di foglie giallastre, dure e graffianti. Come uno schiaffo in pieno volto l'aria pungente la riportò con i piedi per terra.
Era quasi arrivata a casa. Solo un'ultima curva e la piazza grande la separavano dalla cena. Camminava a passo svelto, o almeno era la sua intenzione. Il forte vento limitava tantissimo il suo cammino.
Il rallentamento non fu però del tutto negativo. Voltò la faccia di lato, per evitare che troppa polvere le finisse sugli occhi, in direzione della piazza. Sul fondo, vicino agli alberi più vecchi, scorse una figura conosciuta. Seduto su una panchina, con in mano un libretto rosso, e lo sguardo rivolto verso le montagne, lo zio spiccava nella desolazione della piazza. Chissà cosa stava facendo. Era quasi ora di cena, magari stavolta poteva arrivare puntuale, almeno per una volta in vita sua. Si avvicinò. Lo chiamò più volte, ma il vento disperdeva ogni parola, e lui non sembrava accorgersi di nulla. Arrivò al suo fianco. Lo salutò, ma non ebbe risposta. Lo osservò bene, da capo a piedi. Stava li seduto sulla panchina, immobile, vestito con i suoi pantaloni grigi, la camicia e il suo impermeabile. Portava un cappello scuro, che contrastava con il colorito del viso. Bianco, con gli occhi chiusi, cereo come una statua. Gli tocco la mano, gelida. Lui aprì gli occhi. Rispose al tocco della nipote e la invitò a sedersi di fianco a lui. Non proferì una parola. Lei si sedette, senza protestare. Lo guardava, ma lo sguardo di lui era perso verso le vette lontane. Provò a parlare, ma lui la bloccò. Le fece un cenno con la mano, le chiedeva di aspettare. Così fece.
I minuti passarono e l'ora della cena era ormai passata, stavolta anche lei si sarebbe presa una bella strigliata dalla zia. Non poteva sperare nella stessa clemenza che, tutti i giorni, la donna riservava al proprio marito. Di minuti ne passarono altri. Non guardò l'orologio, ma si rese conto del tempo che fuggiva. Guardò ancora una volta l'anziano uomo. Non sembrava il vecchio gracile che tutti i giorni girovagava per la casa. Stava li, immobile, totalmente disinteressato al vento freddo, trasmetteva una strana forza. Sembrava quasi uno di quei colossi leggendari che si dice proteggessero le città di porto dall'attacco dei nemici. All'improvviso una mossa. Si alzò in piedi. Non si era aspettata questo scatto. Le enormi sopracciglia la guardarono, poi si accorse che anche gli occhi la stavano fissando. Una mano si sporse verso di lei. Con un gesto colmo di un'antica cavalleria la aiutò ad alzarsi, la prese a braccetto e s'incamminarono verso casa. Quando ormai si trovavano a mezza strada le parlò. Doveva avvisarla che purtroppo non l'avrebbe potuta aiutare a percorrere le scale. Lei, con un sorriso sulle labbra, dettato più dalla sorpresa dell'affermazione che da ironia, le chiese il perchè. Lui le spiegò che la zia era una donna gelosa, mai avrebbe accettato che un altra donna abbracciasse il suo uomo. La zia era ancora un donna focosa le disse.
Rise. Rise con grande spontaneità. E lui rise con lei, compiaciuto per l'effetto ottenuto.
Erano quasi arrivati alla porta, lui le prese la mano e gliela baciò. Rispose con un inchino, divertita da questo gioco di galanterie. Il vento diminuiva. Le foglie e la polvere venivano sostituiti dalle note di una canzone. La voce di Fabrizio De Andrè scandivano le parole de "La Città Vecchia". Veniva da casa loro. Chissà, suo fratello, o sua madre, o magari era stata la zia; no, la zia no, le brontolava seduta sulla sedia. Cedette il passo allo zio, che entrò in casa per primo.
Ripensò a quanto ancora sarebbe durato questo viaggio, sulla carta ancora lungo, ma effettivamente infinitamente corto...

...continua...

...Sacra & Pura Follia!!!

domenica 11 gennaio 2009

Freddo

"Con la neve non c'è mai tanto freddo... ti scalda il cuore"


...Sacra & Pura Follia!!!