giovedì 18 dicembre 2008
la Meta - un'altra semplice storia
domenica 14 dicembre 2008
giovedì 11 dicembre 2008
La Ballata dell'Amore Cieco... omaggio
tralalalalla tralallaleru
s'innamorò perdutamente
d'una che non lo amava niente.
Gli disse portami domani,
tralalalalla tralallaleru
gli disse portami domani
il cuore di tua madre per i miei cani.
Lui dalla madre andò e l'uccise,
tralalalalla tralallaleru
dal petto il cuore le strappò
e dal suo amore ritornò.
Non era il cuore, non era il cuore,
tralalalalla tralallaleru
non le bastava quell'orrore,
voleva un'altra prova del suo cieco amore.
Gli disse amor se mi vuoi bene,
tralalalalla tralallaleru
gli disse amor se mi vuoi bene,
tagliati dei polsi le quattro vene.
Le vene ai polsi lui si tagliò,
tralalalalla tralallaleru
e come il sangue ne sgorgò,
correndo come un pazzo da lei tornò.
Gli disse lei ridendo forte,
tralalalalla tralallaleru
gli disse lei ridendo forte,
l'ultima tua prova sarà la morte.
E mentre il sangue lento usciva,
e ormai cambiava il suo colore,
la vanità fredda gioiva,
un uomo s'era ucciso per il suo amore.
Fuori soffiava dolce il vento
tralalalalla tralallaleru
ma lei fu presa da sgomento,
quando lo vide morir contento.
Morir contento e innamorato,
quando a lei niente era restato,
non il suo amore, non il suo bene,
ma solo il sangue secco delle sue vene.
mercoledì 15 ottobre 2008
Epistola
Cara Erica,
...Sacra & Pura Follia!!!
lunedì 9 giugno 2008
Soffiava
Molly aprì gli occhi. Soffiava un vento strano fuori dalla finestra. La fitta lancinante nell'utero l'aveva svegliata di soprassalto. Era sdraiata per terra, mezzo nuda, con in mano un foglio tagliuzzato. Voltò la testa di fianco e vide un tagliacarte posato vicino al suo viso. Si alzò in piedi ancora stordita dalla notte precedente. Perchè quello stato confusionale era sicuramente una conseguenza della notte trascorsa al... Si guardò allo specchio. Era completamente sconvolta. Posò una mano sulla superficie fredda e liscia, cercò ti accarezzarsi il viso. Si osservò. All'improvviso cadde in avanti; le gambe persero quella poca forza che le restava e il suo volto volò dritto contro lo specchio, fracassandolo. Nuovamente distesa sul pavimento sentì il sangue uscirle dalla fronte. Si trascinò malamente fino al bagno alla ricerca di acqua ossigenata. Trovò il flacone, ma aveva così poche forze che lo rovesciò; litri di disinfettante fluirono attraverso le strisce perpendicolari delineate dalla trama del pavimento. Era sconvolta. Si appoggiò al lavabo e si guardò ancora allo specchio. "Dove hai dormito stanotte?" chiese alla ragazza che non riconosceva ma stava davanti a lei. Le labbra di Molly erano violacee, di un colore innaturale e malsano. Ancora una volta si sentì debole. Ancora una fitta, stavolta accompagnata da una forte nausea e una gran voglia di rimettere tutto ciò che aveva in corpo. Si poggiò su un piano vicino a lei, poi cercò il water. In ginocchio senza più le forze per rialzarsi cominciò a vomitare. Più di una volta la testa quasi le cascò dentro l'acqua. Posò la mano sul mobile che stava alla sua destra alla ricerca di qualcosa per pulirsi il viso. Non trovò nulla di più adatto dell'ultima rivista comprata da suo padre. La faccia di Mr Baffo, uno di quei fenomeni da baraccone che ogni anno tentano di accrescere la loro popolarità con il guinnes dei primati, la guardava beffardo. Lo gettò nel water sperando che affogasse in mezzo a quel minestrone di sangue e vomito. Perchè era ridotta così. Puzzava come un adolescente, uno di quei ribelli che non ha capito nulla della vita e credono che la trasgressione sia insita nell'autodistruzione, o come un enorme formaggio lasciato a marcire. In quel momento si disprezzava. Sarebbe dovuta andare a scuola quella mattina, ma fortunatamente i suoi erano fuori. Cercò di riprendersi. Prese fiato e riportò quella sua carcassa umana nella sua stanza. Si distese sul letto senza curarsi del sangue che ancora le fluiva sulla fronte. Seppur aveva rimesso poco prima tutti i pasti del giorno precedente in quel momento sentiva la voglia di divorare qualsiasi cosa. Il sapore acre in bocca allontanò rapido il pensiero. Iniziò a rovistare tra i ricordi. Ricordava la telefonata del suo amico. L'aveva invitata ad una festa. Lei non voleva partecipare, ma lui doveva parlarle assolutamente. Doveva raccontarle qualcosa a proposito di una ragazza, diceva fosse una cosa urgente, e così l'aveva convinta. "Vieni come sei" le aveva detto; "Siamo tra di noi, i soliti amici, niente formalità". Guardò il suo pupazzo, Polly il pappagallo, e pian piano cominciò a ricordare, e con il ricordo giunsero le lacrime. Il pensiero le trafisse il cervello. Una ferita senza fine e senza nome si stava aprendo nella sua mente, come un aneurisma che ti perfora le tempie. Qualcosa che non avrebbe mai pensato di dover affrontare era ormai emerso dal fondo dei suoi ricordi. Lui era venuto a prenderla. Sorrideva. La portò in un locale che stava sotto un vecchio palazzone abbandonato, che spesso utilizzavano per organizzare rave e feste. La sala era stata allestita con una sorta di piano bar, dietro alla quale centinaia di bottiglie dominavano la parete. Altro che i soliti amici, la sala era piena di sconosciuti. Non ebbe però il tempo di pensarci troppo che già i primi bicchieri le venivano messi in mano. Piangeva al ricordo; piangeva e si dimenava. Si contorceva, portando le sue mani tra le gambe, quasi a proteggere qualcosa ormai perduto. Perso il conto dei bicchieri anche la sua testa diventava man mano più leggera, perdendosi nell'aria come il dirigibile Zeppelin lanciato nel suo primo volo. Beveva, e beveva ancora, senza ormai rendersi conto di aver perso qualcosa sulla via della razionalità. Parlava con tutti, forse parlava troppo, tanto che non fu difficile per nessuno capire che ormai non aveva più un briciolo di coscienza. Così lui la prese, e la portò alla macchina. "Tranquilli ci penso io a lei". Salirono sull'auto, e lui cominciò una folle corsa. Ma non andava verso casa. Questo lei lo capì, non sa come, ma aveva capito che non era la strada per casa sua. La campagna, lontana dagli occhi, lontana dai suoni della città, ecco la sua meta. Capiva, ma non reagì. Non poteva, i suoi sensi, incatenati dall'alchol, non erano capaci di opporsi. E quando la macchina si fermò non potè fare nulla. Un sospiro, poi le mani di lui le afferrano e strapparono il vestito. Stai lontano da me, gli avrebbe voluto urlare. Ma non ci riusciva. Gli artigli sudati si fecero sempre più aggressivi e violenti. Come aculei si piantavano sulla sua carne. Era incapace di opporre qualsiasi resistenza, eppure lui continua va a picchiarla. Riuscì a parlare, riuscì a pronunciare la frase più stupida che la sua bocca avrebbe mai potuto emettere "Ti prego, smettila di picchiarmi! Violentami! Ma non picchiarmi". E lui non perse un attimo di tempo. Come un'autentica scimmia sfogò tutti i suoi desideri più oscuri e repressi su di lei. Piangeva, e un conato di vomito le attraversò la gola. Fu solo il primo di una lunga serie. Il pensiero la stava uccidendo. Una macchia gigantesca si stava formando nella sua mente, una macchia indissolubile. Dopo un grande shock spesso si comincia a sragionare, e lei non perse un attimo di tempo. "Stupida, la colpa è tua". Come poteva essere stata tanto stupida. Se non avesse bevuto. Se non fosse andata alla festa. Se non si fosse ubriacata non sarebbe successo. Si sentiva cadere sempre più in basso. Che imbecille che era stata. Un milione di se, ma, forse, e dopotutto attraversarono le sue autostrade sinaptiche. Un altro conato, e un altro ancora. Pensieri illogici e sconnessi costruivano enormi castelli di carte nere nel suo cervello. Tutte scuse. Tutte scuse per giustificare la mostruosità di un comportamento. Tutte scuse per non doverlo accusare, in fondo era un suo amico. Tutte scuse per non correre il rischio di essere considerata debole. Vomitò ancora, e ancora si contorse. Pianse, riprese le forze e si alzò dal letto. Spaccò mezza camera. Pianse ancora, e ancora vomitò, e nuovamente spaccò. Gridò. Piangere, spaccare, gridare, vomitare. Tutto per scacciare un pensiero ormai indissolubile come una macchia di sangue su un vestito bianco. Certe cose non ci cancellano. Ci son volte in cui basta più una tazza calda di the Pennyroyal per scacciare il dispiacere. Ma Molly non lo capì. Non lo capì mai. Neanche il 5 aprile, quando si sparò un colpo in viso, aveva capito.
giovedì 8 maggio 2008
Matilde odiava i gatti
tipico dei gatti in calore.
Un giorno prese la pistola
dal cassetto e sparò.
Ne colpì uno grigio e lo vide
cadere a terra esanime.
Ma pose fine al proprio dramma
soltanto nel momento in cui
premette il grilletto contro se stessa."
lunedì 21 aprile 2008
venerdì 4 aprile 2008
Tu come la vedi
giovedì 27 marzo 2008
martedì 25 marzo 2008
Denti
Le piaceva andare in edicola.
Le piaceva fermarsi a sfogliare un po di riviste e giornali. Erano sempre li, esposti al pubblico, a disposizione di tutti, o quasi. Certo, se poi non avevi intenzione di comprarli, non potevi leggerteli tutti. Ma passare del tempo in edicola era sempre un piacere. Questo non era però l'unico motivo. Lisa adorava andare in edicola, perché un sorriso così raramente l'aveva visto su altri visi. Il signor Giuseppe, edicolante ultrasettantenne, sfoggiava un sorriso a 35 denti fantastico. I denti non c'erano più tutti, ma ad una certa età è normale; se si tiene in considerazione questo fattore, anche una piccola feritoia, nascosta sul fondo della bocca, può avere il suo fascino. Solare e allegro, trasmetteva pace e voglia di vivere. Lisa avrebbe passato le ore a guardare quel viso. Quello si che era un sorriso con la S maiuscola. Lisa lo invidiava davvero.
Sin da piccola aveva sempre trovato piacevole incontrare persone che sapessero mettere su un bel sorriso al momento giusto. Le trovava affascinanti. Chi sapeva sorridere da lei poteva ottenere quasi ogni cosa. Era per questo che adorava andare in edicola, al market sotto casa, oppure alla drogheria dietro l'angolo. La signora Anna della bottega, poi, era davvero il massimo. Sembrava la controparte perfetta per i signor Giuseppe; le vecchie dicerie di paese dicono che tanti anni fa loro due stessero assieme, ma si dovettero lasciare per un motivo che nessuno sapeva. Se questa storia fosse stata vera, e Lisa ci credeva sul serio, la sua ammirazione verso questi due vecchi cresceva ancora di più: nonostante l'amore perduto, ancora non avevano smesso di sorridere.
Detestava andare al panificio. La signora Rosa, proprietaria e amica di vecchia data di sua madre, era una persona cupa. Era avara, attaccata al centesimo, e sembrava quasi che ci pagasse le tasse sul numero di volte che mostrava i denti. Mai una volta che avesse un gesto gentile per i suoi clienti, o un attimo di relax. Niente, era una specie di Polaretto all'amarena appena estratto dal freezer, gelida e con un pessimo sapore. La gente continuava ad andare da lei solo perché il suo pane era il migliore della città. Lisa ha sempre pensato che se fosse riuscita ad aggiungere anche l'ingrediente segreto della serenità in quel negozio, avrebbe sbaragliato qualsiasi concorrente. Ma Rosa non sapeva davvero cosa significasse un sorriso.
E se le persone cupe la infastidivano, le peggiori erano quelle che invece ridevano più del necessario. Odiava le risate sguaiate. Le veniva quasi la pelle d'oca ogni volta che stava in compagnia di certe persone. Vittorio il barista era una di queste. Rideva sempre, a voce alta, e senza mai un motivo reale. rideva quando qualcuno gli ordinava un caffè, e rideva quando qualcuno pagava il caffè. Rideva entrava un signore con un cappello, e rideva quando quest'ultimo toglieva il cappello. Rideva un po meno quando qualcuno gli rovesciava una tazza, ma rideva comunque. Lisa era sicura che quelle fossero false risate. Più volte era sicura di averlo sentito mugugnare sotto i baffi, o quando dava le spalle alle persone.
Lisa adorava i sorrisi, la rendevano serena. Un sorriso al momento giusto poteva rendere la sua giornata magnifica. La sua vita era la continua ricerca di un sorriso. Sperava di incontrarne uno nuovo dietro ogni angolo. Aveva bisogno di questi sorrissi, perché quando si guardava allo specchio, questo non glieli sapeva restituire. Lisa non sapeva sorridere.
...Sacra & Pura Follia!!!
martedì 26 febbraio 2008
Domani
Non sapeva cosa sarebbe cambiato nella sua vita.
L'uscita dell'ultimo numero di Vita da Paperi sarebbe stato un evento indimenticabile.
mercoledì 30 gennaio 2008
Binari divergenti
Le scrivo a nome di tutta la cittadinanza per metterla al corrente del grave problema che ci affligge.
Qua nella cittadina di Ailesch i treni non si vogliono fermare, il vostro servizio funziona davvero male.
Alcuni passano troppo rapidi, altri non si fermano proprio, alcuni arrivano già al completo, altri vogliono biglietti diversi da quelli che ci avete fornito.
La gente di Ailesch è abituata a buttarsi alle spalle ogni problema, ma questo dei treni inizia a incrinare la nostra salda società.
Per noi, gente comune, con tanti sogni e poche pretese, il treno è simbolo di viaggio, ricerche, fortune, splendide avventure e tanto ancora. Ogni concittadino, appena nato, vede un treno che passa di qua, alla stazione centrale. Alcuni passano su binari troppo lontani dal centro delle stazione di Ailesc, mentre altri passano così vicino a noi. Il problema è che neppure questi si fermano. Gli abitanti iniziano ad essere irrequieti e non tollerare più questa situazione.
Purtroppo il problema si protrae da tempo e da noi non sembra più gestibile. In un modo o nell'altro i compaesani non riescono a prendere nessun treno. Solo per citare l'ultimo esempio: annunciato completamente libero, è poi arrivato pieno in stazione.
Non so se sia una nota positiva o negativa il disinteresse dimostrato dalla popolazione di fronte a quest'ultimo viaggio mancato.
Mio caro presidente: a questo punto mi rivolgo a lei, in quanto Capo del Servizio Ferroviario, e le chiedo se crede sia possibile risolvere questo problema in tempi brevi. Le chiedo tutto ciò perchè a breve dovrei recarmi nella cittadina di Upailesch e non mi dispiacerebbe arrivarci in treno.
In attesa di una sua risposta le mando i miei più sentiti saluti,
un Cittadino
giovedì 17 gennaio 2008
Il vecchio
Ero alla ricerca di un po di riposo, una piccola sosta nel mezzo di un lungo viaggio.
Mi fermai in un piccolo bar, di quelli che riempono le vie principali dei paesi, luogo di incontro per tutti gli uomini del circondario. I tavoli tutti pieni, neppure un posto libero. Mi rassegnai a bere il mio caffè al bancone. Guardai attorno. Ero circondato da facce spigolose, scolpite dal tempo, dal sole, dall'aria pungente e dal lavoro duro, quello che noi giovani ormai abbiamo dimenticato. In mezzo a tutti quei visi vedevo espressioni diverse, visi animati da così tante emozioni che sarebbe difficile elencarle.
Nel mezzo di tutti quei volti ne notai uno. Un vecchio mi osservava. Magrissimo, leggermente gobbo, con un baschetto verde sulla testa e una bucolica giacca in velluto sulle spalle. Un incrocio di sguardi. Lestro il vecchio allungò la mano verso la sedia vuota di fianco a lui. La scostò, e con un gesto gentile, mi invitò ad occuparla. Sinceramente non avevo motivo di rifiutare l'invito. Mi avvicinai e gli sedetti di fronte. Aprii le danze con un buongiorno cortese, e subito fu lui a prendere le redini della conversazione.
Mi parlò della sua infanzia e dell'adolescenza, del lavoro nei campi e dei primi amori, della guerra e delle contestazioni, la politica, lo sport. Mi raccontò dei suoi viaggi, per terra e per mare. Viaggi infiniti che forse un uomo mai avrebbe potuto compiere, neanche se avesse avuto 2 vite. Quegli occhi chiari, ingrigiti dall'età, sembravano aver visto il mondo intero. Non solo aveva visitato ogni luogo del mondo, ma l'aveva attraversato sempre con mezzi diversi. Un giorno a cavallo e la mattina dopo sulla mongolfiera, poi in groppa ad un mulo, il dì seguente a piedi lungo le strade sterrate, nuovamente in sella, poi in macchina, aereo, nave, bicicletta, calesse, gondola e anche a cavallino sulle spalle del suo compare. Aveva visto il mondo sotto ogni punto di vista. Aveva conosciuto le culture Asiatiche e quelle Africane, gli aborigeni in Australia e gli Eschimesi al polo. E' difficile raccontare una vita così intensa con così poche parole.
Stupito per aver trovato un uomo dalla vita così piena, e dalla voce così convincente, gli chiesi come avesse fatto a errare in si tanti luoghi e in così poco tempo. Una vita intera non poteva essere davvero sufficiente.
Forse una vita no, ma una buona raccolta di libri poteva fare questo e altro.
Sorrisi.
Gli chiesi quale fosse stato il suo libro preferito.
Mi rispose che era il Libro delle Storie non Scritte. Disse che non era un libro qualsiasi, anzi era difficilissimo da ottenere, per alcuni addirittura impossibile.
Spiazzato e curioso gli chiesi di spiegarmi meglio.
Era il libro delle storie che ogni uomo porta nella sua testa. Era l'insieme di tutte quelle fantasie che teniamo per noi, che per tempo, voglia o timidezza non riusciamo a donare agli altri. Le nascondiamo dentro noi senza mai raccontarle agli altri. Lui amava rileggere questo libro. Ripensava spesso a tutta la magia che turbinava nei suoi pensieri. Aveva paura di perderle. Temeva che se non avesse riletto le sue fantasie queste sarebbero andate perdute, le avrebbe dimenticate. Dimenticare i suoi sogni sarebbe stato per lui un po come morire.
Ascoltavo quest'omino magrissimo, leggermente gobbo, con un baschetto verde sulla testa e una bucolica giacca in velluto sulle spalle. Lo ascoltai per tanto tempo. Non mi resi bene conto dello scorrere della sabbia, del volare via della giornata, finché lui non si alzò.
Prese il suo bastone, un piccolo inchino, e si congedò da me. Lo guardai uscire.
Mi voltai verso il bancone e vidi un giovane che sorseggiava un caffè. Un incrocio di sguardi. La mia mano stanca e aggrinzita scostò la sedia di fronte a me, e lo invitò a sedere. Avevo proprio voglia di narrargli i miei viaggi per il mondo. Un giorno a cavallo e la mattina dopo sulla mongolfiera, poi in groppa ad un mulo, il dì seguente a piedi lungo le strade sterrate, nuovamente in sella, poi in macchina, aereo, nave, bicicletta, calesse, gondola e anche a cavallino sulle spalle del mio compare.